Giovedì 14 aprile 2022 – Teatro Sannazaro – ore 20.30
QUARTETTO ESMÈ

Franz Joseph Haydn (1732 – 1809)
Quartetto in sol maggiore op. 77 n. 1 Hob.III:81

Eric Wolfgang Korngold (1837 – 1957)
Quartetto n.2 in mi bemolle maggiore op.26

* * *
Pëtr Il’ič Čajkovskij (1840 -1893)
Primo Quartetto in re maggiore op. 11

QUARTETTO ESMÈ
Wonhee Bae, violino
Yuna Ha, violino
Jiwon Kim, viola
Yeeun Heo, violoncello

Note di sala
di Simone Ciolfi

“Papà” Haydn e i suoi seguaci
Padre della sinfonia, padre del quartetto: tutte le paternità di Haydn vanno rilette alla luce di un più complesso sistema di influenze. Non è tanto nelle paternità dei generi che va individuato il primato del compositore (prima di lui c’erano già state schiere di sinfonisti e di quartettisti, italiani e non), ma l’aver combinato nei generi in questione tendenze culturali diverse che hanno poi consolidato lo stile classico. Lo stile galante italiano, il contrappunto riletto in chiave dialogante e privato della solennità barocca, l’opera buffa, il senso del tragico proprio dello “Stürm und Drang”, l’eccentricità dello stile “sensibile” di Carl Philip Emanuel Bach, tutto concorre in Haydn a creare un palcoscenico fatto di musica assoluta in cui i temi si muovono come personaggi entrando prima in contrasto e poi risolvendo i conflitti. Intelletto, gusto, teatro e potere risolutivo della ragione, dunque.
Da uomo sistematico ma dotato di bonaria ironia quale fu, Haydn codificò, come detto, alcuni generi, ma seppe benissimo anche come sorprendere l’ascoltatore, come mettere in dubbio le stesse forme che aveva partecipato a consolidare. Il Quartetto in sol maggiore op. 77 n. 1 è tra le sue ultime produzioni in questo campo (risale al 1799) e gioca su due piani: uno in cui il buon gusto settecentesco e la tradizione appaiono in evidenza, uno più profondo in cui accadono tante piccole novità che sembrano gettare una luce ironica su quella stessa tradizione. Attenzione, dunque, alle modulazioni lontane, agli scarti ritmici, alle fermate buffe del tessuto musicale. In più, si alternano in esso due dimensioni espressive contrastanti: una galante nella quale appare la tipica condotta melodica accompagnata, una più ragionata in cui è presente il dialogo tra le parti. L’Allegro moderato iniziale è in ciò emblematico: il tema al primo violino, accompagnato in blocco dagli altri strumenti, sembra parodiare lo stile galante, ha qualcosa di ironicamente dubbioso. Tale tema è seguito presto da un serrato andamento delle parti che porta l’ascoltatore in una fase più seriosa e concettuale. L’anima del brano è tutta in questa alternanza. Che ci vuole dire Haydn? Forse vuole far nascere il nuovo dall’interazione delle differenze, vuole dare alla musica un taglio espressivo insolito.
L’Adagio che segue mette in opera un’altra straniante strategia: la prevalenza del canto è sottoposta a un viaggio modulante sperimentale, nel quale la leggerezza galante è deformata in molte perturbanti screziature. Nel brano successivo, un Minuetto, la velocità (“presto”) tradisce la danza, sposta il brano dal tipico gusto aristocratico a un più moderno senso di movimento, movimento che evolve poi nella divertente energia del Finale, dove la musica è agile e imprevista, in corsa verso una chiusa che lasci gli ascoltatori soddisfatti. Eppure, un dubbio sembra serpeggiare in tutta la composizione: il Settecento sta finendo, con lui l’aristocrazia e il suo mondo. Cosa riserverà il futuro agli uomini dell’Illuminismo?
Eccolo il futuro, o meglio, uno dei tanti possibili futuri: Eric Wolfgang Korngold. Nato nel 1897, trasferitosi negli Stati Uniti nel 1934 perché ebreo, Korngold si è dedicato con successo alla musica per il cinema, praticando la composizione colta in uno stile tardo-romantico che gli valse la critica dell’avanguardia. Il Quartetto n. 2 in mi bemolle maggiore op. 26, del 1933, sembra animato da una sottile concezione del piacere apparentabile all’universo di Haydn: il primo movimento gioca col ritmo e l’interruzione, dà vita ad aspettative stimolanti, elabora i temi amplificandone la sensualità. Vi si può reperire anche un “sberleffo” a Beethoven tramite l’enunciazione evidente della figura ritmica iniziale della Quinta Sinfonia. L’Allegretto con moto che segue è quanto mai gustoso e leggero: con piglio cinematografico, Korngold sembra restituirci l’atmosfera, ricca di ammiccamenti, di una gita all’aperto.
Il movimento successivo, Lento, attacca diafano e un poco funebre, per evolvere in un più lirico andamento. La chiarezza formale delle frasi dona qualcosa di classico al brano, la cui espressività non pare romantica. Il tutto sembra creare un senso di attesa e di mistero. Danzante e gentilmente ubriaco è poi il Tempo di valse del finale, le cui scelte timbriche e melodiche possiedono qualcosa di sommamente ironico. Non c’è estasi spirituale nella musica di Korngold, ma estasi dei sensi e del corpo, c’è una vitalità ancora oggi pulsante e piacevole, condotta in barba a qualunque astratta sublimazione, soprattutto lì dove, nelle ultime battute del finale, Korngold sembra prendersi gioco, per un momento, anche di Wagner.
Composto da Čajkovskij nel 1871, il Quartetto in re maggiore op. 11, invece, risponde pienamente alla mentalità romantica, alla sua aspirazione di riscoprire lo spirito nazionale dei popoli, pur rimanendo il quartetto in una forma in tutto classica. Il moderato e semplice iniziale possiede infatti un tema di canzone popolare ma è in “forma-sonata”, la forma tradizionale del classicismo viennese. Le sfasature temporali, i piani fluidi di alcune sezioni del tessuto musicale congiunti però con l’andamento del tema, nonché il ricco sviluppo, conferiscono al brano una grande mobilità emotiva. Anche il tema con cui attacca il secondo movimento (Andante cantabile) è una melodia popolare, che Čajkovskij racconta di aver udito nella campagna russa di Kamenka. Il secondo tema, invece, è creazione originale, sempre animata, però, da un taglio folklorico intenso e commovente. Movimento molto amato dal compositore, questo Andante rimarca il fatto che, per i romantici, è la melodia la vera portatrice dell’anima di un popolo, la vera novità con cui la musica può rigenerarsi.
Anche lo Scherzo risponde alle stesse logiche: il tema ballabile ha un andamento ritmico e un’inflessione melodica quanto mai popolari. La dinamica brillante dello “scherzo” come genere ha qui una rilettura espressiva in linea con i due movimenti precedenti. Ancora, il Finale ha un netto sapore “russo” e conferma l’andamento generale del Quartetto op. 11, creazione cajkovskijana di una dimensione spirituale concepita come rivitalizzazione di un linguaggio classico che smetteva di essere cosmopolita (come nel Settecento) per essere più “autentico”.

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