Giovedì 27 ottobre 2022 – Teatro Sannazaro – ore 20.30
GIUSEPPE GIBBONI, violino
NUOVA ORCHESTRA DA CAMERA FERRUCCIO BUSONI
MASSIMO BELLI, direttore
Vasilij Kalinnikov – Serenade per archi; Henryk Wieniawski – Variazioni su un Tema originale per violino e archi; Niccolò Paganini – La Campanella per violino e orchestra; Edvard Grieg – Due Melodie Elegiache per archi, Dai tempi di Holberg, suite in stile antico

Note di sala
di Simone Ciolfi*
L’intensità delle composizioni di Vasilij Kalinnikov si può forse misurare sulla coscienza che egli ebbe della propria finitudine: seppe presto, infatti, di essere condannato a morire giovane a causa della tubercolosi. Un destino che era toccato a Chopin, a lui e a tanti altri. Morì appena trentacinquenne, a Jalta, nel 1901: dieci anni prima, nel 1891, aveva composto la “Serenata per archi” in sol minore. Creazione in un unico movimento, la “Serenata” interpreta quel clima profondamente espressivo tipico del gusto di fine Ottocento, con momenti che sembrano dolci barlumi di speranza. Talvolta, infatti, la musica della Serenata sembra aspirare a qualcosa di superiore, quasi fosse una fiduciosa preghiera, ma alla fine ricade su sé stessa, delusa, priva di energie. In questo illudersi seguito da una malinconica delusione, c’è la tragica coscienza della rinuncia e della vanità del tutto, acuita da una musica stratificata ma priva di una complessità che potrebbe ricordare una qualche fiducia nell’umana ragione. Nonostante l’aiuto di Čajkovskjj e di Rachmaninov, Kalinnikov, non abbiente di nascita, non poté fare più di tanto per sé e per la sua musica. Sta a noi, oggi, conservarne la memoria.
Figlio di un barbiere e medico ebreo di Lublino, Henryk Wieniawski fu accettato a otto anni, nel 1843, al Conservatorio di Parigi, e da quel momento il violino e la composizione furono la sua vita. Artista di successo, viaggiò per l’Europa e per gli Stati Uniti, insegnò a San Pietroburgo e a Bruxelles. Verso la fine degli anni Settanta dell’Ottocento la sua salute purtroppo declinò e nel 1880 durante un tour in Russia che non poté terminare, fu colto da infarto e morì.
Le sue doti di brillante violinista si esprimono, così come era stato per tanti virtuosi prima di lui, nell’arte della variazione, ovvero nell’arte di trasformare un tema rendendolo sempre più screziato e affascinante. L’aggiunta di passaggi tecnici, di note ornamentali, i cambi di tonalità e le volatine, sono elementi tipici delle “Variazioni su un tema originale” op. 15, il cui inizio sembra citare la celebre Ciaccona di Johann Sebastian Bach, nume tutelare dei romantici. Il Maestoso iniziale lascia il passo a un tema lento, ma tagliente e appassionato, a sua volta seguito da un flusso brillantissimo (Andante ma non troppo) di scale e arpeggi, che preparano l’entrata del tema vero, che verrà sottoposto al processo di variazione. La maestria esecutiva e fantastica di Wieniawski è evidente in ogni variazione, ma il superamento delle difficoltà non è l’unica mira del virtuoso ottocentesco. Egli non mira a strabiliare, ma a mostrare le qualità del suo spirito e del suo pensiero musicale, solo secondariamente incarnate in quel superamento.
Tale fattore era sempre implicito nei grandi esecutori dei secoli passati, tanto che i virtuosi di uno strumento sono stati identificati con creature non umane, tale era l’intensità del loro sentire che si esprimeva nella musica. La figura emaciata e pallida di Niccolò Paganini ha fatto pensare che egli potesse essere stato ispirato dal diavolo. Talmente strabilianti erano le sue capacità al violino, che il sottile erotismo funebre della sua figura acquisì qualcosa di demoniaco. Il terzo movimento del Concerto per violino e orchestra n. 2 di Paganini, scritto nel 1826, è detto “la campanella” perché nella compagine orchestrale è inserita proprio una campanella, imitata con bravura virtuosistica dal violino tramite i suoni armonici. Il tema ammiccante ha avuto un enorme successo nell’immaginario collettivo tramite le tante trascrizioni che ne sono state tratte (la più famosa è di sicuro quella per pianoforte di Franz Liszt). Il suo andamento saltellante nulla ha di romantico, anzi affonda le radici nell’arte violinistica del Settecento italiano, ma possiede un piglio fantastico la cui giocosità ha qualcosa di stregato. Si potrebbe dire che il tema della Campanella è sarcastico e ipnotico, buono per foraggiare l’aura “demoniaca” del violinista. Isolato e utilizzato per le varie trascrizioni che ne sono state fatte, tale tema potenzia questa sua caratteristica: ascoltato, invece, nel suo contesto, quello del finale di un Concerto, rivela le sue qualità giocose appartenenti alla tradizione concertistica italiana.
Melodista e armonista di altissimo rango, Edvard Grieg è ricordato per le delicate sfumature delle sue creazioni. Cantore dell’universo nordico, Grieg fu interprete di un intimismo nel quale l’idea di elegiaco, carica di suggestione nostalgica, è spesso presente. Le “Due melodie elegiache” op. 34 (del 1880) “Cuore infranto” e “L’ultima primavera”, sono emblematiche del suo genio melodico convincente e carico di tenerezza.
Nei primi decenni del Novecento, la conservazione del patrimonio musicale antico e la necessità del nuovo portarono alla nascita del “neoclassicismo”, che combinava stile antico e innovazione. Tale corrente era stata preceduta da fenomeni simili nella produzione dei compositori del secondo Ottocento. La scrittura di “suite” nello stile antico, il recupero di ritmi di danza barocchi inseriti nel contesto armonico del tardo Romanticismo, era presente in molte partiture degli autori che operarono negli ultimi anni dell’Ottocento.
Grieg scrisse la “Suite per archi” op. 40 nel 1884. La raccolta voleva essere un omaggio al commediografo Ludwig Holberg, vissuto tra il 1684 e il 1754, personaggio centrale della letteratura danese barocca e definito il “Molière del Nord”. La sua rilevante produzione per il teatro non ebbe molta diffusione in Francia e in Italia, mentre raccolse successi in Germania, in Olanda e, ovviamente, nei paesi scandinavi. Il Romanticismo fu sempre interessato a riscoprire lo spirito culturale di uno specifico popolo: Grieg, da artista intimo e intenso quale fu, seppe interpretare, alla luce di un autentico amore per la sua terra, le tendenze dell’epoca, come quelle alla riscoperta della letteratura del passato e dello stile musicale antico. Tre sono le danze antiche che animano la Suite, precedute da un Preludio e nobilitate da una Air (Aria) in quarta posizione: la Sarabanda, solenne danza di origine spagnola, la Gavotta, elegante danza francese dal ritmo moderato, e il Rigaudon, anch’essa d’origine francese ma dal ritmo assai vivo. Il Preludio e l’Air, il primo dal ritmo marciante attraversato da squilli di fanfara, la seconda dal tono dolce e meditativo, rispettivamente danno un tocco celebrativo e orante alla Suite.

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