Giovedì 16 febbraio 2023– Teatro Sannazaro – ore 20.30
TRIO JEAN PAUL
Ulf Schneider, violino
Martin Löhr, violoncello
Eckart Heiligers, pianoforte

Integrale dei Trii di Robert Schumann, Felix Mendelssohn e Johannes Brahms (I concerto)

Robert Schumann (1810 – 1856)
Trio in fa maggiore op.80

Johannes Brahms (1833-1897)
Trio in do minore op. 101

Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 – 1847)
Trio in do minore op. 66

Note di sala
di Simone Ciolfi*

Trii ed eroici furori
La cultura romantica si trovò a dovere bilanciare l’aspirazione a considerare la musica un linguaggio filosofico e cosmopolita, con la tendenza a riscoprire lo spirito dei singoli popoli, generalmente legata alle tradizioni nazionali. Negli ultimi anni della sua vita, Robert Schumann visse con sempre maggiore tensione l’aspirazione cosmopolita che si ricollegava al classicismo viennese con quella nazionalistica legata alla tradizione tedesca. Per cui, in opere come il Trio n. 2 op. 80 si respira la volontà di gestire il tessuto musicale con mezzi ormai identificati in toto con la cultura tedesca, come il contrappunto, tentando, però, di dare al tutto il tono dell’universalismo beethoveniano. Ne risultò la rinuncia a quell’estro giovanile che caratterizzava le opere degli anni Trenta dell’Ottocento. Questo non vuol certo significare che tali opere siano meno interessanti di quelle giovanili, ma che vi è diffusa la tendenza alla raffinatezza musicale più che il contrasto tra impulso e malinconia, tipico del giovane Schumann.
Con il Trio op. 80 siamo nel 1847 e la titolazione dei movimenti è (si noti) in tedesco, non in italiano. Dei quattro movimenti, il primo è giocato su un ritmo ternario che ha un tono popolare nell’andamento di danza ma non nella cantabilità. In essa, infatti, Schumann riversa la sua vena fantastica, per cui i suoi disegni melodici sono sempre sorprendenti. L’episodio contrappuntistico che si impone al centro del movimento rivela la profonda coerenza tematica e strutturale del brano e il suo legame con un ideale arte germanica che ha in Bach il suo testimone. Certi ritmi e certi tratti tematici ricordano, infatti, il celebre compositore, riletto, però, alla luce di un magico furore romantico che solo Schumann sa evocare con discordanti sfaccettature.
Il secondo movimento sembra fare il verso alla cantabilità operistica, ma l’intrecciarsi dei temi è in cerca di una stratificazione espressiva densa più che di toni teatrali. Anche lo scherzo in terza posizione, dal tempo insolitamente lento per il genere, ricerca la stratificazione contrappuntistica, quasi che la mira di Schumann in questa composizione fosse cercare un nuovo taglio espressivo per lo stile imitativo tramite la ricombinazione dei materiali creati dal suo genio tematico e ritmico. L’idea dello “scherzo” è più nelle combinazioni insolite di ritmo e melodia che non nel brillante andamento che caratterizza, di solito, il genere. L’ultimo movimento è giocoso e vivace, vi predomina il pianoforte e vi fa capolino lo Schumann giovanile con le sue creature tematiche dall’insolito serpeggiare. L’ascesa, la volontà di raggiungere alture emotive insolite, nonché lo sforzo per raggiungerle, spesso mimate dalla musica, sono tutte di Schumann, e qui appaiono in piena chiarezza, sebbene ve ne siano stati segni anche nei tre brani precedenti.
La tonalità tragica di do minore, tanto amata da Beethoven, torna con il Trio op. 101 di Brahms a incarnare i toni grandiosi e tragici del Romanticismo. Gesto potente e sontuose esitazioni aprono questa composizione realizzata nell’estate del 1886, la cui temperatura rovente appare subito nell’indugiare drammatico e sognante che si dipana dalla partitura. Nell’Allegro energico iniziale, un fare imperioso (derivato da Beethoven) si alterna a rari momenti cantabili, quasi questi fossero sezioni di riposo fra un atto costruttivo poderoso e l’altro. Nel Presto assai che segue, il senso del tragico è raggiunto con l’essenzialità dei mezzi in campo, quasi Brahms prendesse le mosse da un’esile danza barocca in punto di morte. Gli strumenti ad arco dialogano quasi a cercare una soluzione a qualcosa. Il pianoforte pare dissuaderli dal risolvere un ipotetico problema. L’organicità misteriosa di tale brano è tipica di Brahms. Anche questo movimento, che dovrebbe essere uno scherzo, è assai singolare per il suo tono e per il suo ritmo, perché invece di evocare dinamismo, materializza una strana leggerezza dal retrogusto di irresoluzione.
L’andamento salottiero dell’Andante grazioso ci comunica un senso di pace e di convivialità. Ha un tono vagamente settecentesco, viennese nel senso del classicismo di Haydn e Mozart, un gusto che diventerà di moda dopo la morte di Brahms, più o meno nel Primo Novecento (compare in tanti melodrammi di fine Ottocento e oltre). L’ultimo movimento, Allegro molto, è schumanniano per via delle insolite “storpiature” del tessuto sonoro che suonano come geniali storture, che escono fuori da una dimensione cantabile prevedibile e inventano percorsi sorprendenti per chi ascolta. A volte, l’andamento della musica sembra punteggiato da strani pertichini all’acuto. Il tutto risulta veramente innovativo per Brahms, colui che viene indicato come il continuatore della tradizione classica viennese, e in verità, è autore anche in linea con la modernità che si annunciava trasgressiva e dirompente. Il Trio piacque molto a Clara Schumann così come all’amico violinista Joseph Joachim proprio per le sue caratteristiche di potenza ed estrosità.
Spesso definito come il più classico tra i romantici, Felix Mendelssohn tradisce questa definizione proprio nei Trii, genere le cui origini sono legate all’intrattenimento salottiero e al quale l’autore, di contro, conferisce l’impeto del verbo romantico. Il Trio in do minore op. 66 è del 1845, due anni precedente il Trio di Schumann, e subisce influssi di scrittura dalla produzione cameristica di Franz Schubert, autore tenuto in grande stima da Mendelssohn e del quale promosse, da organizzatore, l’esecuzione della musica. Se schubertiana è in parte la scrittura pianistica, il tono impetuoso della composizione è beethoveniano e nervosamente motorio, aspetto tipico di Mendelssohn. Nell’Allegro energico e con fuoco iniziale, il pianoforte innesca un dinamismo inesausto sul quale si innestano le febbrili melodie degli archi. Tale alta temperatura è generata dalla divergenza tra parte pianistica, che furoreggia senza sosta con arpeggi e accordi, e archi, che tentano di sottrarre a un metaforico naufragio il materiale tematico. La tensione melodica da ciò provocata continua anche nell’apparente pace dell’Andante espressivo, nel quale però il pianoforte continua a essere il buco nero che sembra assorbire la luce della cantabilità del brano. Nel sagace Scherzo, questo si animato da un ritmo sostenuto e coinvolgente contrariamente ai due precedenti trii, qualcosa di volante e demoniaco si impossessa della musica. Il Finale, in forma di rondò, approda a toni sinfonici, densi e talvolta festosi, a testimoniare l’alto impegno messo dall’autore in questa partitura cameristica.

*Questo testo non può essere riprodotto, con qualsiasi mezzo analogico o digitale, in modo diretto o indiretto, temporaneamente o permanentemente, in tutto o in parte, senza l’autorizzazione scritta da parte dell’autore o della Associazione Alessandro Scarlatti