ENSEMBLE ARS LUDI

Antonio Caggiano, Gianluca Ruggeri, Rodolfo Rossi, Alessio Cavaliere,  percussioni

I due leoni

Giorgio Battistelli – Il libro celibe per 1 performer (1976)

Philipp Glass – Opening da Glassworks(Ars Ludi version) (1981)

Giorgio Battistelli –Orazi e Curiazi per 2 performer (1996)

Steve Reich – Marimba Phase per 2 marimbe (1967)

Giorgio Battistelli –Psychopompos versione per 3 performer di G. Ruggieri (2023)

Steve Reich –Drumming Part 1 per 4 coppie di bongos intonati (1970-71)

 

Note di sala

di *Gregorio Moppi

Un programma, questo, che esplora due tendenze di rilievo nella musica degli ultimi sessant’anni. Da una parte il minimalismo (con gli statunitensi Steve Reich e Philip Glass, oggi entrambi ottantasettenni), dall’altra il teatro strumentale (con Giorgio Battistelli, compositore nato nel 1953). Al centro di tutto stanno le percussioni, cui il ’900 ha concesso sempre più volentieri ruoli da protagonista nelle sale da concerto; e quando suonano le percussioni, lo spettacolo è garantito. A un performer che deve agire su – interagire con – una singolare partitura tridimensionale è affidato Il libro celibe(1976), uno dei primi lavori di Battistelli. Titolo che richiama l’interesse del compositore per le “macchine celibi” di Marchel Duchamp in cui il principio maschile e il femminile si congiungono. L’idea che ‘celibe’ debba essere un libro deriva da una sorta di spiritosa competizione con i molti amici scrittori, tutti allora affaccendati sui loro libri. La partitura è un libro d’artista costruito con carta, cartone, pelle, metallo, legno, che esiste sia in quanto manufatto autonomo, da esporre in gallerie e musei, sia come strumento musicale che pretende di essere sfogliato affinché possa emettere suoni. Dunque opera anfibia, visiva e musicale allo stesso tempo, ispirata a esperienze simili di Dieter Schnebel e Giuseppe Chiari. Ad attivare l’azione teatral-musicale che fa ‘sposare’ il libro all’interprete è il gesto dello sfogliare: ciascuna pagina va manipolata, strappata, appallottolata, sfregata, grattata, percossa con tante e diverse modalità di tocco meticolosamente previste dalla partitura-racconto dell’autore. Il quale all’epoca, di libri celibi ne fabbricò tre. Un esemplare fu esposto in una mostra di libri d’artista a Palermo curata dalla poetessa Mirella Bentivoglio e per una settimana anche nella Galleria dell’oca, a Roma.

Philipp Glass, autore che da fine anni ’60 impiega tecnica minimalista e vocabolario consonante (portato su tale strada dall’ascolto di Piano Phase di Reich), ad affascinare il grande pubblico è arrivato nel 1982 grazie all’album Glassworkspubblicato dall’etichetta Cbs. Sei tracce semplici, orecchiabili, concepite con l’intento di affratellare classica e pop per essere ascoltate anche con il walkman. La prima, per tastiera, si intitola Opening (qui è proposta nella versione di Ars Ludi per le percussioni). Dura sei minuti, nei quali un flusso ritmico ripetitivo, ininterrotto, scorre liscio come l’acqua di un fiume, sempre simile a se stesso, ma mai davvero uguale.

Al 1996 data la composizione di Orazi e Curiazi di Battistelli, commissione del Duo Ars Ludi eseguita la prima volta a Pechino. La partitura porta letteralmente in scena un combattimento tra due percussionisti collocati su un tappeto di ghiaia, loro campo di battaglia, entrambi muniti di una coppia di bongos, quattro tom-tom, piatto sospeso, woodblock, tam-tam, grancassa sinfonica. I due devono pure bisbigliare, fischiare, mormorare, ansimare, tossire, emettere risatine. Nella loro contrapposizione virile, furibonda, brutale, selvaggia, infarcita di suoni onomatopeici, rivive lo scontro fra i tre gemelli Orazi e i tre gemelli Curiazi, scelti rispettivamente come campioni di Roma e di Alba Longa per decidere l’esito della guerra tra le due città. Una leggenda ambientata nel VII secolo a. C. molto cara a Battistelli, nato ad Albano Laziale, non lontano da dove si ritiene sorgesse Alba. Dapprima i Curiazi sembrano aver la meglio, avendo ucciso due Orazi. Il terzo finge la fuga. I Curiazi si pongono allora al suo inseguimento, ma sono feriti e non riescono a procedere uniti. Così l’Orazio può affrontarli uno a uno, facendoli fuori e conquistando la vittoria per Roma. Il pezzo di Battistelli fotografa, appunto, questo drammatico duello finale tra l’ultimo degli Orazi e l’ultimo dei Curiazi. Il perdente, stando alla partitura, “si copre il viso con le mani e lentamente si accascia sulla grancassa”. Il vincitore, “lentamente si volta… poi guarda in alto. Sposta la testa in avanti verso il pubblico e rimane immobile”.

 Marimba Phase (1967) è uno dei primi esempi della tecnica minimalista sviluppata da Steve Reich a partire da un esperimento compositivo su nastro magnetico. Alla fine del 1964, infatti, Reich registra un predicatore nero che parla del diluvio universale nel parco di Union Square a San Francisco. L’incipit di quel sermone (“It’s gonna rain”, sta per piovere) viene poi montato a loop in maniera tale da mettere in risalto le qualità melodiche e ritmiche della voce del predicatore. Durante il lavoro Reich ha un’illuminazione: «Mentre cercavo di allineare due nastri in loop identici, scoprii che il modo più interessante di procedere consisteva nell’allineare i nastri all’unisono, e poi di lasciarli andare gradualmente in sfasatura. Mentre ascoltavo questo processo graduale di “defasaggio”, cominciai a rendermi conto che si trattava di una forma straordinaria di struttura musicale. Era un processo musicale continuo, senza interruzioni e rotture». Dal nastro agli strumenti acustici il passo è breve: il “defasaggio” approda su due pianoforti con Piano Phase, che suonato sulle marimbe – come l’autore consente – si trasforma in Marimba Phase. Il materiale musicale è costituito da un certo numero di motivi melodico-ritimici che si ripetono. Parte la prima marimba con uno schema di dodici note, cui si somma la seconda all’unisono. Questa velocizza il tempo poco a poco. portandosi gradatamente fuori fase rispetto alla prima. E la medesima procedura si replica per gli altri motivi.

Ancora un lavoro in cui Battistelli mette a frutto la sua formazione da percussionista e l’interesse per l’elemento performativo dell’esecuzione musicale: Psychopompos (1988) è stato scritto durante il periodo di studio a Parigi, su richiesta delle Percussions de Strasbourg, ensemble di punta per la musica nuova. L’organico comprende sei tamburi a frizione di varie dimensioni (il più grande di 2 metri) che producono sei timbri diversi – la versione presentata stasera, curata da Gianluca Ruggeri con il consenso dell’autore, riduce l’organico a tre strumentisti, rendendone l’esecuzione ancor più virtuosistica. I tamburi per la prima esecuzione tenuta a Strasburgo, Battistelli li aveva fatti costruire a Pomigliano d’Arco da un artigiano specializzato in putipù cui era stato indirizzato dall’etnomusicologo Diego Carpitella: d’altronde all’origine della composizione sta una ricerca  sulle tradizioni magico-rituali partenopee condotta sul campo. Ogni strumento incarna uno psicopompo, ossia un trasmigratore di anime, figura androgina che in sé congiunge il femminile (simboleggiato dalla membrana del tamburo) e il maschile (la canna mossa ritmicamente su e giù). La figura del trasmigratore, legata all’idea di morte, ne esorcizza tuttavia la paura attraverso il rimando alla sessualità. Al dialogo dei tamburi si sovrappongono le voci intonate dei percussionisti; da ultimo si raggiunge il massimo della concitazione, che rammenta una tammurriata.

Con Drumming (1970-1971) Reich lavora per la prima volta su una composizione di ampie dimensioni: un’ora e mezzo di durata se suonata per intero. Ma stasera, delle sue quattro sezioni, viene proposta soltanto la prima, per quattro coppie di bongos intonati percossi da bacchette ed eventualmente uniti a voci maschili – le altre sezioni prevederebbero tre marimbe e voci femminili, tre glockenspiel, fischio e ottavino, e l’ultima tutti questi strumenti assieme. Drumming rappresenta la stadio finale di perfezionamento del processo di “defasaggio” graduale. La parte qui proposta comincia con due tamburi (ma possono essere anche tre o quattro) che danno il via al motivo ritmico alla base del pezzo. Si tratta di un battito singolo, contornato da pause, ripetuto varie volte. Man mano quasi tutte le pause sono riempite da battiti: i suoni sostituiscono gradualmente i silenzi, prima aggiungendo un battito, poi un altro ancora, e ancora, ancora; e allorché un battito nuovo compare nello schema ritmico, tale schema va replicato più volte. Ma non tutti i percussionisti – che talvolta possono pure usare la voce insieme ai bongos o al loro posto – procedono simultaneamente a riempire le pause. Ciascuno decide con una certa autonomia quando effettuarla. Per giunta, in certi momenti, alcuni esecutori devono accelerare il tempo, così da non risultare più in sincrono con gli altri: ed ecco applicato il “defasaggio”.

 

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