Fabio Vacchi (1949)
Quartetto n. 6 Lettera a Johann Sebastian Bach

Johann Sebastian Bach (1685 – 1750)
L’Arte della Fuga BWV 1080

NOTE DEL COMPOSITORE FABIO VACCHI
Pur convinto come sono che la musica comunichi messaggi, in quanto fa parte della più ampia sfera dell’umano, non trovo nulla di più esaltante che scrivere per la forma autoreferenziale del quartetto d’archi. Mi sono calato ancora una volta nelle sfumature prismatiche di un unico timbro, sapendo di poter contare su un gruppo compatto, profondo, tecnicamente ineccepibile, eloquente, duttile e creativo come il Quartetto di Cremona. Pensando a questi grandi musicisti, mi sono accostato al modello bachiano da loro proposto costruendo un brano sull’incipit che anima e indirizza l’Arte della Fuga. Omaggio tanto implicito quanto totalizzante, non solo nella sostanza e nella costruzione geometrica, ma anche nell’afflato lirico di cui Bach fu maestro assoluto. Un Bach liberato dalle filologie pretestuose che ne appiattiscono le potenzialità in nome di norme spesso artificiose: nessuno può sapere, pur studiando tutti i trattati dell’epoca come è giusto che sia, quale fosse davvero il suono sentito, voluto, pensato dal grande Johann Sebastian. Si può solo custodire quanto di lui è arrivato fino a noi, quanto si è stratificato, quanto rivive e rivivrà in una continua metamorfosi, rispettosa ma non museale: viva, non imbalsamata. Per questo ho cercato di dare intensità lirica vibrante a ogni linea, pur tratteggiata secondo la matematica coerenza bachiana. Perché l’Arte della Fuga, che non è destinata a nessun organico specifico, contiene gli accenti ardenti delle Passioni di Bach, l’intimo e bruciante lirismo delle sue Cantate, i profili cristallini del clavicembalo, gli echi e i rimbombi dell’organo e dei suoi molteplici timbri, con la possibilità d’immergersi in un’infinita gamma di colori strumentali e vocali. Contrappunto e cantabilità hanno guidato la stesura del mio Sesto Quartetto, e sono anche le fondamenta che Enzo Restagno riconobbe nei miei lavori quando, da giovane, sfidavo i dogmi imperanti. Anche a lui devo se ho superato anni difficili. A lui e a quanto ha fatto per la musica dedico la mia Lettera a J.S. Bach. Contrappunto e cantabilità, ricongiunti, rappresentano per me quel che il Covid deve indicarci se vogliamo spingerci verso una nuova armonia universale, capace di dare voce ai #senzavoce: le fasce discriminate per genere, status, etnia, generazione, religione (o non religione), orientamento sessuale e specie (gli animali). Il lockdown ci ha insegnato che siamo tutti sulla stessa barca, che scienza e coscienza, ragione e sentimento, lucidità ed empatia, concetto e impulso, riflessione e intuito non possono scindersi se non portandoci a sfacelo: dobbiamo aprirci a una nuova visione, che arricchisca le varie aree del sapere con la risonanza di cui sono fatte le cellule del cosmo. Gli studi medici, fisici, biologici confermano oggi ciò che Bach ben sapeva: la vita è vibrazione, l’universo è vibrazione, il corpo e l’anima di ogni essere senziente è vibrazione.
Questa Lettera è il mio umile canto a Bach, perché ci accompagni verso un cambiamento, ora che tanto è stato scoperto rispetto alla sua epoca, ma altrettanto dovrebbe trasformarsi. Le varie sezioni di contrappunto rigoroso, introdotte, inframmezzate e chiuse da episodi dall’andamento preludiante, assecondano la natura lirica del materiale, degli strumenti, dell’interpretazione (che in questo caso è parte integrante della premessa compositiva, ben conoscendo io, da tempo, le potenzialità del Quartetto di Cremona), per confluire in un finale che ne è la sintesi.

Estratto dalle note di programma
“Lettera a J.S. Bach, il lockdown e l’armonia universale”

L’ARTE DELLA FUGA SECONDO IL QUARTETTO DI CREMONA
Die Kunst der Fuge (L’Arte della Fuga) fa parte delle ultime composizioni bachiane, rimasta incompiuta a causa dell’età e del peggioramento delle condizioni di salute dell’autore. Insieme a L’Offerta musicale, è universalmente considerata come una delle opere più complesse e articolate mai scritte, uno dei vertici più alti della polifonia contrappuntistica nella storia della musica. Composta fra il 1749 e il 1750, L’Arte della Fuga è un compendio di tutte le conoscenze acquisite nell’arco di una vita a proposito dell’utilizzo del contrappunto e della fuga concepito, forse, non tanto per l’esecuzione quanto per lo studio approfondito delle stesse.
L’opera comprende 15 fughe e 4 canoni, tutti segnati con l’indicazione originale di contrappunti: un culmine di virtuosismo polifonico, che sfrutta tutti gli espedienti possibili nel rielaborare un soggetto, applicando il principio della variazione a un unico tema dato esposto in apertura.
Il principio compositivo risiede nell’interazione di quattro voci in uno stesso discorso, per questo motivo nessuno strumento o voce umana sono specificati per la sua esecuzione. Il lavoro è scritto in partitura aperta per quattro voci astratte, Soprano (S), Contralto (A), Tenore (T) e Basso (B). La scelta della combinazione strumentale impiegata in una determinata esecuzione può variare dunque di volta in volta, influenzata dal punto di vista degli esecutori e dall’organico disponibile. L’Arte della fuga, infatti, è stata trascritta per quasi tutte le combinazioni possibili, da un solo strumento a tastiera alla grande orchestra.
Con il principale intento di offrire un’interpretazione fedele alla partitura originale, mantenendo lo sviluppo delle voci così come scritto da Bach ed evitando quindi trascrizioni, in alcuni contrappunti il Quartetto di Cremona introduce nell’ ensemble una viola al posto del secondo violino e una viola tenore al posto di una normale. La viola tenore, infatti, è più grande e dal suono molto più profondo in quanto accordata Re-Sol-Do-Fa. In questo modo, le linee originali sono accuratamente seguite e chiaramente distinguibili, creando una fusione uniforme di tutte le voci.
Per quanto riguarda le articolazioni, il Cremona si riferisce quasi interamente alla prima edizione, che ha poche note diverse dal manoscritto. Anche l’ordine di esecuzione dei contrappunti segue la prima edizione, mentre i canoni (raccolti da Bach alla fine della partitura) sono distribuiti lungo tutta l’esecuzione, che assume così un carattere maggiormente “concertistico.