Giovedì 15 dicembre 2022 – Teatro Acacia – ore 20.30
DANILO REA, pianoforte
MASSIMO MORICONI, contrabbasso
ELLADE BANDINI, batteria

TAKE ZERO
La canzone d’autore italiana degli ultimi 30 anni in chiave jazz

Note di sala
di Stefano Valanzuolo*

C’è, evidentemente, un motivo ispiratore alla base di questo concerto. Anzi, c’è quasi un illustre convitato di pietra che siede alla piccola festa del jazz imbandita da Danilo Rea, Massimo Moriconi ed Ellade Bandini. Parliamo di Mina, ça va sans dire, insieme alla quale i tre musicisti in questione hanno inciso un numero ragguardevole di brani e, più in generale, hanno collaborato e collaborano, anche oggi che Mina è diventata una voce non più associata – tranne rare epifanie mediatiche – a un’immagine. “Una” voce, abbiamo scritto: errore blu, come le mille bolle. Lei, mitica “tigre di Cremona” (secondo un lessico zoologico all’italiana comprendente pure aquile, pantere ed usignoli cantanti), non è stata “una” voce, infatti, ma “la” voce per quanto concerne la canzone italiana. E tale resta, estendendo il proprio dominio su un’era geologica che va da Caruso a Damiano dei Maneskin o, se preferite l’ordine alfabetico, da Adamo a Zucchero; da “Abbronzatissima” a “Zum, zum, zum”: pezzi di infanzia, almeno per chi scrive.
«Il progetto “Take Zero” – spiega Danilo Rea – nasce come omaggio a Mina, voluto da suo figlio Massimiliano Pani. In seguito, è diventato anche un disco. È chiaro che per tutti noi, che con lei abbiamo avuto il privilegio di lavorare a lungo, si sia posto l’imbarazzo della scelta tra centinaia di pezzi possibili: mossi da curiosità, forse, ci siamo orientati soprattutto su quei brani che, per motivi anagrafici, non siamo riusciti a suonare in studio o sul palco con lei. Per dirla alla napoletana: ci siamo levati uno sfizio».
Di sfizi, nella sua infinita carriera, Mina se n’è levati moltissimi. A partire dai primi anni Settanta, segnati dai trionfi di vendita e televisivi (ricordate “Teatro 10”? La sua sigla finale, “Parole, parole”, sarebbe diventata oggetto di culto, grazie anche ad Alberto Lupo), «Mina inizia a cantare – scrive Roberto Ruggeri nel “Dizionario della canzone italiana” – qualsiasi canzone a qualsiasi genere appartenga, quasi un gioco che la porta a cantare tutto il cantabile, quasi una sfida con se stessa». Il fatto è che sono i brani, i compositori, i parolieri e i traduttori a cucire, all’occorrenza, le proprie creazioni sulle misure vocali e interpretative di Mina, rinunciando se necessario persino a un pizzico di vanità personale pur di affidare alla più carismatica delle voci pop in circolazione il frutto dei propri sforzi. Per esempio: “La banda” (1967) è un omaggio di Amurri e Mina a Chico Buarque de Hollanda, che per primo l’aveva incisa in portoghese nel 1965, o va considerata una canzone di Mina? Diremmo la prima, ma è vero anche che il cantautore brasiliano, ben presto, l’avrebbe incisa in italiano, alla maniera della Tigre.
«Quando parliamo oggi – interviene Rea – di queste canzoni, di tutte quelle che affrontiamo in concerto, stiamo riferendoci a degli standard veri e propri. Come tali abbiamo scelto di trattarle, seguendo l’approccio collaudato del trio di jazz, in chiave strumentale e con la consapevolezza che il valore aggiunto dei lavori stia nella cifra autenticamente italiana che li caratterizza; una cifra che Mina esalta, da par suo. Rendere omaggio a una grande cantante senza impiegare la voce può sembrare strano solo a chi non riesca a calarsi nella dimensione dello standard jazz. Ma è fatto naturale».
La caratura italiana, appunto, viene garantita dalla statura di autori come Lucio Battisti (amatissimo da Mina, che gli dedicherà almeno due album monografici), e poi ancora Ennio Morricone, per citare i più famosi e reciprocamente distanti. Ma Danilo Rea, nella circostanza, ci tiene a sottolineare il peso artistico anche di figure come quelle di Bruno Canfora o Gianni Ferrio, che saltano fuori da un ricordo in bianco e nero – bacchetta agile, smoking e papillon – circondati dall’aria ruffiana e leggera del sabato sera (cfr. “Maledetta primavera”) in tv.
«Personaggi fondamentali – chiarisce il pianista – per la crescita della canzone italiana, che seppero assorbire le suggestioni provenienti dall’America (Ferrio è stato il nostro Nelson Riddle!), riarrangiarle in chiave personale e italiana, dargli forma grazie a orchestre meravigliose, quelle della Rai di allora, che ancora stiamo rimpiangendo».
A proposito di rimpianti, a noi viene da pensare che, pur nell’impossibilità di stabilire alcun paragone con Mina, in fondo la canzone italiana sarebbe viva e vegeta e dunque, volendo, ancora utilizzabile come serbatoio di idee jazzistiche… O no?
«Credo di essere – spiega Rea – una persona curiosa e, dunque, per lo più attenta alle novità. La canzone mi appartiene per vocazione e ho avuto il piacere di suonare con i più importanti cantautori italiani. Su questa base, devo ammettere che l’offerta di oggi non mi sembra granché stimolante. Guardando ai testi e alle melodie utilizzate faccio fatica a trovare spunti paragonabili a quelli degli anni di Mina & Friends… Soprattutto, avverto una certa diffusa trascuratezza nell’uso dell’armonia. Dopo di che, è chiaro, di fenomeni degni di attenzione ce ne sono ancora. Penso al rap, per esempio: considero Eminem un musicista fenomenale, ancora oggi dopo un quarto di secolo dai primi exploit; peccato che i rapper italiani, nel prendere a modello lui e altri cantanti americani, ne abbiano poi ricavato una versione meno trasgressiva e più basic, direi. Mina col rap non c’entra nulla, lo so, ma so che potrebbe cantare anche quello e riuscirebbe a farlo bene, perché è un’interprete vera ed è jazzista nell’anima. Oltre tutto, ha una conoscenza musicale vastissima: riceve migliaia provini, clip e proposte da ogni angolo del mondo, e ascolta tutto, con l’attenzione e la generosità propria dei grandi».
Il percorso musicale mazziniano (nel senso sempre di Mina) tracciato da Rea, Moriconi e Bandini copre un arco di tempo assai ampio: si va da “Tintarella di luna” a “Acqua e sale”. Passano quarant’anni quasi. Correva il 1959, infatti, quando la giovanissima Mina stupiva il pubblico televisivo di “Lascia o raddoppia” (programma che già aveva sdoganato le bizzarrie musicali di John Cage) con “Nessuno”. A seguire, sarebbero uscite “Una zebra a pois” e, appunto, “Tintarella di luna”, tutte segnate da una carica di virtuosismo vocale e ritmico fuori dall’ordinario. Il fil rouge che unisce questi titoli a quelli di fine secondo millennio (“Acqua e sale” e “Brivido felino”, appunto) è dato dalla figura di Adriano Celentano, nel cui solco Mina si era posta, al’epoca del debutto o quasi, urlatrice tra gli urlatori, e al cui fianco avrebbe formato una coppia, negli anni Novanta, ricca, fortunata, piena di carisma e sintomatico mistero (cfr. “Bandiera bianca”).
Sarebbe divertente, dopo tutto, andare a scovare, in questa carrellata di evergreen percorsa da “Take Zero” quanti siano, in realtà, i titoli nati già col crisma del trionfo e quanti, invece, il successo se lo siano visti piovere addosso inaspettatamente. “E se domani” (1962), per esempio, fu pubblicata come lato B (nel senso giusto del termine) di un’altra canzone, “Un anno d’amore”: due piccoli capolavori, per i quali ogni rapporto di subalternità vicendevole suonerebbe stonato. Non ne parliamo di “Quando, quando, quando”, che con Mina non c’entra ma è frutto dell’inventiva di Tony Renis, prima che il nostro si trasferisse armi e bagagli negli States. Le giurie, al Festival di Sanremo del 1962, relegarono la canzone al quarto posto, ma il mercato ne avrebbe fatto un successo planetario: quando i Blues Brothers vanno ad assoldare Murph (and Magic Tones), lo trovano a cantare, malissimo per altro, proprio la hit di Tony Renis.
Per Mina, a parte i valorosi musicisti già citati, hanno scritto anche parolieri illustri. Ma delle parole, se non si fosse capito già, questo concerto non sa proprio che farsene….
«È un viziaccio di noi musicisti. Ci concentriamo su ritmi, armonie, melodie, e i testi, puntualmente, non riusciamo a tenerli a mente. A nome del trio, allora, chiedo scusa a schiere di poeti ingenerosamente trascurati da troppi jazzisti senza cuore!».
Scriveva nel 1999 Felice Liperi, storico della canzone italiana: «In tutta la sua carriera Mina ha mantenuto inalterata la dimensione di straordinaria interprete, continuando ad ammaliare il pubblico con ogni tipo di performance vocale. Il formidabile talento le ha permesso di trasformare scelte talvolta discutibili in classici; una qualità che, nel mondo, hanno potuto vantare solo artiste del calibro di Ella Fitzgerald, Billie Holiday, Edith Piaf, Aretha Franklin». Vero: e a questo punto decida Mina se arrossire o fare scongiuri…
*Questo testo non può essere riprodotto, con qualsiasi mezzo analogico o digitale, in modo diretto o indiretto, temporaneamente o permanentemente, in tutto o in parte, senza l’autorizzazione scritta da parte dell’autore o della Associazione Alessandro Scarlatti