Giovedì 23 marzo 2023 – Teatro Sannazaro – ore 20.30
QUARTETTO ADORNO
SANDRO DE PALMA, pianoforte

Camille Saint-Saëns (1835 – 1921)
Quintetto in la minore op. 14
***
César Franck (1822 – 1890)
Quintetto in fa minore

Note di sala
di Gianluca D’Agostino*

È stato notato che nel repertorio cameristico il genere del quintetto per pianoforte e archi non è molto rappresentato e che in ogni caso esso fu poco frequentato fuori dalla tradizione austro-tedesca, tradizione che in questo caso si compendia nei nomi esemplari di Schumann e Brahms.
Questi modelli, in effetti, rimasero e rimangono insuperabili dal punto di vista formale, cioè riguardo alla soluzione del “problema” di base posto dal genere, quello della dialettica intercorrente tra il quartetto d’archi, concepito come “piccola orchestra”, ed il pianoforte, pensato invece come “solista” e impegnato, essenzialmente, nello sfoggio virtuosistico e brillante.
A tali modelli e in questa prospettiva guardò, inevitabilmente, anche il francese Camille Saint-Saëns (Parigi 1853 – Algeri 1921) il quale, da parte sua, oltre ad essere un gran virtuoso della tastiera, fu anche un compositore molto versatile, fermo restando che fu essenzialmente un compositore-pianista e dunque a suo agio completo nella scrittura per tastiera, come dimostrano soprattutto i cinque Concerti per pianoforte e orchestra. Il problema del confronto-scontro con i tedeschi fu sempre una delle sue preoccupazioni, visto che il compositore si pose, o meglio di sarebbe posto come massimo alfiere della scuola nazionale locale, nonché come principale artefice (con Franck, d’Indy, Lalo, Fauré, suoi colleghi e co-fondatori della “Société Nationale de Musique”) del rinnovamento e del rilancio della cosiddetta “Ars gallica”.
Ben prima che ciò accadesse, cioè intorno ai vent’anni, il musicista aveva già composto questo suo Quintetto in La minore op. 14, intendendo l’opera appunto come occasione di sfoggio solistico sulla base di un accompagnamento di una (piccolissima) orchestra d’archi: in questo senso, proprio allo scopo di enfatizzare il ruolo degli archi, nella pubblicazione finale fu inclusa una parte opzionale di contrabasso. Significativa è anche la dedica dell’opera a Charlotte Gayard Masson, la prozia che, dalla morte del padre, era andata a vivere con Camille e con la sua mamma, e che aveva avuto il merito di avviarlo (e molto bene) allo studio serio del pianoforte: significativa perché ci apre uno spaccato sulla formazione del giovane compositore e sulla dimensione “domestica” di questa pagina.
In questo caso, tuttavia, domestica non vuol dire acerba, poiché anzi questa composizione appare curatissima e anzi impeccabile da un punto di vista formale, come subito notarono, concordemente, un po’ tutti i primi critici e recensori.
La serissima e drammatica introduzione accordale del primo movimento, Allegro moderato e maestoso, forma un motivo che ricorrerà durante tutto il suo svolgimento e che verrà ripreso anche in seguito. Dopo degli arabeschi del pianoforte e dopo una sorta di coda solistica molto brillante, la risposta affidata agli archi è più lirica e delicata e solo a quel punto si dà il via ad una pagina splendidamente strutturata, dove si evidenziano almeno tre idee tematiche ottimamente messe in contrasto tra loro. Una lunga sezione che potremmo chiamare di sviluppo è dedicata all’elaborazione tematica e più ancora al rovesciamento delle parti, nel senso, per esempio, che il memorabile tema iniziale è affidato questa volta agli archi e con la risposta del solista. La ripresa e ancor più la coda del movimento conoscono, sul finire, un’inaspettata accensione ritmica ma soprattutto armonica, che prende una piega ancor più drammatica rispetto al principio e direi quasi esasperata.
Il secondo movimento, Andante sostenuto, ha un respiro che potrebbe dirsi liturgico, più da un punto di vista armonico che melodico, conferito in generale dalle delicate note ribattute degli archi su arpeggi del pianoforte o, ancora, da certe volatine sempre degli archi, ma ancor più, appunto, dalle audaci modulazioni del brano e dalle sue inusuali digressioni armoniche.
Ma è il successivo Presto a colpire l’attenzione dell’ascoltatore, grazie in particolare al carattere di brillantissimo perpetuum mobile del pianoforte (molto lisztiano), nel quale fa capolino a un certo punto il serio motivo di apertura del Quintetto. Questo elemento ci ricorda che la ciclicità – oltre all’ordine e all’equilibrio formale di stampo quasi “neo-classici” – era un altro fondamento dell’ideale compositivo dell’autore e che in questo egli, come peraltro molti altri autori di quella generazione, fu molto debitore appunto verso Liszt.
Il finale, Allegro assai ma tranquillo, può definirsi un saggio accademico: un severo fugato che coinvolge all’inizio solo gli archi e che poi apre la via ad una nobile melodia di nuovo enunciata dagli archi e poi ripresa, e variata, dal pianoforte.
Composto tra 1878 e 1879, il Quintetto in fa minore per pianoforte e archi di César Franck (Liegi 1822 – Parigi 1890) risulta nel complesso più “concertante” e decisamente più complesso di quello di Saint-Saëns precedentemente analizzato. Esso comprende tre lunghi movimenti, con i due esterni più impetuosi, e quello centrale, di carattere molto vario e più meditativo. Alla drammatica introduzione degli archi al primo movimento, Molto moderato quasi lento, risponde il pianoforte in modo più solenne e più calmo, con prolungati arpeggi: questi due temi contrastanti formano il corpo principale del primo movimento, ma subito essi prendono a suonare simultaneamente e a fondersi l’uno nell’altro, secondo una tecnica che evidentemente doveva essere molto cara al compositore. Inoltre lo sviluppo vede un intensissimo lavorio di elaborazione tematica, con delle pause improvvise molto “a effetto” alternate ad improvvise accensioni, mentre il finale tocca livelli di alto lirismo e di pathos trascinante.
L’amplissimo secondo movimento, Lento, con molto sentimento, è probabilmente la parte più bella dell’opera, anch’essa giocata, almeno inizialmente, sulla logica del contrasto: quello derivante tra l’andamento ripetuto e monocorde del pianoforte e le brevi impennate melodiche degli archi. Ben presto, però, il gioco dialettico tra le parti aumenta e si complica, fino a dar corpo ad uno straordinario caleidoscopio di trame motiviche, di dinamiche, di sfumature armoniche, davvero complicato a descriversi, se non ricorrendo ad immagini extra-musicali, come quella delle onde del mare che continuamente di frangono e ritornano indietro. Oltretutto anche qui si riaffaccia lo stratagemma delle pause, dopo ognuna delle quali sembrano ripartire nuove digressioni tematiche che conducono lontano da dove si era partiti.
Enigmatico, al limite del pauroso, è infine l’incipit dell’ultimo movimento, Allegro non troppo, ma con fuoco, eseguito dal primo violino. Il prosieguo è all’insegna dell’alternanza tra blocchi tematici, dove comunque spicca il carattere meramente ritmico di una melodia prevalentemente condotta dagli archi, su accompagnamento pianistico, comunque sempre cangiante.

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