NICOLA PIOVANI – NOTE A MARGINE

Marina Cesari, sax

Marco Loddo, contrabbasso

Vittorino Naso, percussioni

Nicola Piovani, pianoforte

 

Note di sala

di *Stefano Valanzuolo

Il titolo del progetto rimanda all’abitudine, che molti hanno (e Nicola Piovani, certamente, tra questi) di annotare magari a matita, sul bordo di un libro o – se si è musicisti – di una partitura, certe considerazioni estemporanee e non per forza fondamentali, come a voler lasciare traccia di una fugace riflessione a beneficio di sé stesso più che degli altri. In “Note a margine” sono le parole a occupare una posizione subordinata (dunque, marginale), ché la musica – quella di Piovani, nella circostanza – si prende la scena e conduce il gioco, fino a sfiorare suggestioni di tipo teatrale. Se è vero, infatti, che il cinema resta il grande e dichiarato amore di questo compositore gentile e fantasioso, premiato con l’Oscar nel 1999, altrettanto indiscutibile è il fascino che su di lui esercita il mondo del teatro, inteso come ambito espressivo innervato dalla presenza fisica dei protagonisti e, in quanto tale, non surrogabile da altro mezzo (ogni riferimento alla televisione è puramente intenzionale). Ciò spiega come mai, da molti anni, Piovani abbia scelto di non consegnare solo allo schermo la propria musica ma di svelarla anche dal vivo con progetti diversi che lo vedono in scena nella veste di autore, esecutore, conversatore privilegiato. Oltre i margini assodati del concerto propriamente detto, cioè, e con la voglia di coinvolgere il pubblico in un’interlocuzione altra e vivace. Lo spettacolo “Note a margine” nasce nel 2003, su commissione del Festival di Cannes e con un altro titolo, “Leçon concert”. Della “lezione”, in senso didattico e pure didascalico, questa proposta però non ha nulla. È, infatti, un racconto autobiografico ai limiti dell’informale (nel senso accattivante del termine) che attraversa mezzo secolo di carriera vissuta ad alta quota e scandita da incontri determinanti, cioè assai proficui, con partner illustri; registi e non soltanto. Originariamente concepito per pianoforte solo, l’excursus di Piovani avrebbe poi assunto fattezze diverse, portando in pedana un duo, quindi un trio, infine il quartetto. Per il futuro, non sono da escludere variazioni di organico.  «Un progetto come questo – spiega Piovani – si modella intorno a un format base che, tuttavia, nel corso degli anni può finire col perdere qualche pezzo e acquisirne magari altri, in modo naturale e senza smarrire la propria identità. Rientra nella logica di crescita di qualsiasi produzione. Mi viene in mente, a tale proposito, un altro spettacolo, “La musica è pericolosa (presentato a Napoli dall’Associazione Scarlatti nel 2019; ndr), al quale sono molto legato: della scaletta che preparai per il debutto al Ravenna Festival, anno 2015, oggi resistono non più di tre o quattro pezzi. Il resto è cambiato, ma il senso del messaggio no». Proprio quest’ultima considerazione aiuta a capire come, anche nel caso di “Note a margine”, lo spettatore si ritrovi di fronte ad una sorta di work in progress dai connotati sfuggenti per scelta, perché sulla confezione finale del prodotto incide, evidentemente, l’atmosfera del momento, la complicità con la platea, la forza degli aneddoti raccontati. Quelli che riguardano Federico Fellini (con il quale Piovani lavorò in occasione di “Ginger e Fred”, “Intervista” e infine “La voce della luna”), per esempio, cambiano ogni volta, perché il compositore ne ha tanti – beato lui – che custodisce gelosamente nella memoria; e sa centellinarli, con garbo affettuoso. “Note a margine”, nella definizione sintetica dell’autore, alterna «brani musicali e note parlate, e le seconde rimandano a momenti d’ascolto, certo, ma senza pretendere di spiegarli né di fornire giudizi esaustivi. L’obiettivo, semmai, è quello di aiutare il pubblico a entrare più facilmente all’interno della musica, a coglierne la valenza emotiva attraverso particolari piccoli, apparentemente insignificanti eppure in grado di far intendere il clima in cui quelle pagine siano nate e perché continuino a vivere». Sono “note”, nell’accezione di appunti, ma il compositore si ostina a chiamarle noterelle, per rimarcare il fatto che non vadano poi prese troppo (o sempre) sul serio. Consegnate allo spettatore in termini cordiali, le note a margine concorrono a delimitare uno stato d’animo e ad alludere a una sensazione, possibilmente condivisibile, suscitata da altre note, quelle scritte sul pentagramma. La cui energia – come amava dire Fellini – agisce a un livello così profondo e inconscio da risultare pericolosa. Felicemente pericolosa, però. Parlando di sé stesso, Piovani ha detto di non ricordare un giorno solo trascorso lontano dalla musica. Alla luce di una considerazione siffatta, “Note a margine” diventa soprattutto un atto d’amore nei confronti della propria professione, straordinaria e straordinariamente svolta. Il cinema è presente assiduamente nell’arco di tutto il racconto. La colonna sonora diventa, nelle mani di Piovani, lo strumento più adatto a declinare tanta passione verso la musica; lo schermo diventa ambito entro il quale emozionare il pubblico, un ambito prezioso eppure non esclusivo. Tant’è che nello spettacolo, assieme alle molte citazioni famose e famosissime legate ai film, compaiono altri ricercati omaggi musicali. Come quello a Fabrizio De Andrè, che volle Piovani accanto per la creazione di almeno due dischi (concept album, si chiamavano allora) assai importanti: “Storia di un impiegato” e “Non al denaro, non all’amore né al cielo”. Menzione assai opportuna, ché la canzone, anzi la forma-canzone come modello di stile, ricopre un ruolo centrale nell’esperienza di Piovani e nella sua fruttuosa collaborazione – ecco un altro esempio – con Roberto Benigni interprete (“Quanto ti amo”) e regista (“La vita è bella”, ça va sans dire). Nella scaletta di “Note a margine” ricorre pure una serie significativa di composizioni – come Canto senza parolePartenope e Il volo di Icaro – dedicate al rapporto misterioso tra musica e mito, caro al compositore. Sono pagine non legate al racconto cinematografico, eppure dotate di una carica immaginifica che rappresenta, di fatto, il vero marchio di fabbrica di Piovani. Il resto, sulla scena e nell’economia dello spettacolo, lo fanno l’intesa tra i musicisti, la proiezione dei fotogrammi da film, i disegni di Milo Manara, le scelte di luce, il ritmo impresso al percorso. Così si entra, senza troppi sforzi, nella magia del teatro. L’elenco dei registi che Piovani ha affiancato a partire dal 1970 (anno in cui scrive le musiche per “La ragazza di latta”, il suo primo film) assomiglia, evidentemente, a un compendio di storia del cinema italiano. Ovvio l’imbarazzo della scelta per il compositore che aspiri a narrare di sé e della propria esperienza. Tuttavia alcuni nomi, in una serata che abbia sapore di racconto e omaggio, diventano ineludibili: Fellini e Benigni, appunto, e poi i fratelli Taviani e Nanni Moretti. Ci sono anche titoli e protagonisti un po’ meno popolari (pensiamo a Bigas Luna, regista di “Jamon, jamon” e “La teta y la luna”) ma la certezza è che, volendo, Piovani potrebbe attingere in ogni istante ancora ai film di Monicelli, Bellocchio, Tornatore, Amelio e compagnia bella (che stavolta non è un modo di dire). Le regole del mondo dello spettacolo, si sa, ammettono – e talvolta impongono – che un pizzico di mistero accresca l’attesa. Anche per questo, oltre che per l’abbondanza di spunti possibili, “Note a margine” non ha una trama fissa e predefinita. «Non è reticenza compiaciuta la mia», assicura Piovani. «Sono io il prima a sorprendermi, sera dopo sera, della forma fluida che assume lo spettacolo. A Napoli, per esempio, mi piacerebbe portare (e sarebbe la prima volta) le musiche scritte per un film di animazione francese dell’anno scorso, si chiama “Manodopera” e ha avuto grande successo. Spero di farcela a completarne l’orchestrazione. Il problema, semmai, è dover poi decidere cosa tagliare per fare spazio al pezzo nuovo. Una regola aurea non scritta vuole che le proporzioni dello spettacolo, prima di tutto, siano rispettate». “Note a margine” non ha una partitura – per citare Piovani – inchiodata. È un ricordo costruito per capitoli e tenuto insieme dal filo conduttore suadente prestato dal cinema, elemento di attrattiva irresistibile per il pubblico, ma anche per il compositore. Il quale, non a caso, rivendica spesso e orgogliosamente il proprio status di spettatore, sia pure privilegiato, all’interno del grande mondo della musica. «Faccio parte di quel gruppo ormai piccolo di persone che ancora vanno al cinema. E frequento assiduamente, da sempre, le sale da concerto. Quest’attitudine mi consente di pormi più facilmente nell’ottica del pubblico, magari di coglierne le aspirazioni e di venirgli incontro». È una platea, quella di oggi, portata più spesso a “riconoscere” piuttosto che a “conoscere”, a “riascoltare” piuttosto che ad “ascoltare”…  «Il problema – sottolinea Piovani – sta nel trovare un punto d’incontro tra l’esigenza di rassicurare il pubblico, attraverso il ricorso a riferimenti individuabili, e quella di osare». È in quella zona di compromesso, allora, che sembra muoversi disinvoltamente il progetto “Note a margine”, riproponendo melodie amatissime assieme a pagine meno assodate, sempre da un angolo visuale speciale, quello cioè di chi ne abbia conosciuto i presupposti anche drammaturgici. Senza intellettualismi né fronzoli. La dimensione dei brani, qui, è dichiaratamente cameristica, sebbene alcuni lavori siano nati per organici orchestrali più imponenti, salvo poi venire ridotti all’occorrenza, preservandone la linea narrativa e il senso, l’una e l’altro funzionali allo sviluppo della storia. Persino la colonna sonora de “La notte di San Lorenzo”, il cui turgore sinfonico sembrerebbe irrinunciabile, rivive in scala minima, sul pianoforte solo, illuminando il lato intimo e privato di un’epopea collettiva. Come in un romanzo di Fenoglio.  Il tono della conversazione, in “Note a margine”, è dato dall’approccio pacato e non per questo meno diretto di Piovani, protagonista indiscusso eppure discreto sulla scena. Il tono della rievocazione musicale trae ragione dal colore stesso degli strumenti, perché sono i colori – spiega l’autore – «…a cambiare faccia a una storia. Esistono strumenti capaci di entrare in punta di piedi in una trama – per esempio il violoncello, o il clarinetto – e poi eclissarsi con discrezione. Ce ne sono altri che sottendono un protagonismo meno gestibile». E in questa riflessione sul suono, sulle nuances che lo determinano e sul significato che ne deriva si ritrova tutta la delicata sapienza di Piovani. Il suo è uno spettacolo affettuoso, come affettuoso è il suo riguardo nei confronti di Napoli: «La considero la mia seconda città. E giuro che non dico la stessa cosa dovunque vada! A Napoli ho vissuto in anni di formazione, ho fatto teatro, ne ho studiato la lingua, ho avuto il privilegio di conoscere Eduardo e di lavorare a lungo e felicemente con suo figlio Luca. Insomma, il rapporto con questa città è troppo profondo perché possa spiegarlo a parole».

Meno male che c’è la musica, allora.

 

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